Relazione di Dianora Natoli Casalegno, Vice Presidente A.l.A.T. (Associazione Italiana Analisi Transazionale)
Convegno S.I.C.O. – “Professione counseling: individuo, azienda, società”
29-30 novembre 2003
La prima volta in cui mi sono trovata a parlare del counseling aziendale è stato il Convegno S.I.C.O. del novembre 2000. Da allora mi pare si sia fatta parecchia strada, sia come diffusione di scuole di counseling che come aumento della richiesta di interventi di counseling da parte delle organizzazioni.
ll mondo aziendale riflette ovviamente le caratteristiche peculiari del periodo storico in cui ci troviamo e che determinano le evoluzioni a livello delle organizzazioni produttive e della cultura aziendale stessa.
ll mutamento costante del contesto organizzativo mette in primo piano istanze non solo di competitività, da sempre presenti, ma anche di gestione della complessità e della evoluzione tecnologica.
Possiamo osservare come la necessità di un confronto su un terreno globale e nello stesso tempo la risposta ad esigenze specifiche e locali porta alla ridisegnazione sempre più rapida delle strutture che possano farvi fronte.
Le evoluzioni tecnologiche permettono di valicare ogni tipo di confine fisico ma richiedono risposte sempre più veloci e pertinenti, tanto che ad una dilatazione dello spazio corrisponde una riduzione del tempo con conseguenze dirette su tutti i processi aziendali, comunicativi e decisionali.
Mentre le imprese si trovano impegnate nel compito di rispondere a tali loro bisogni organizzativi ed alla necessità di dare pieno valore alle risorse umane, che risultano essere il fulcro dell’intero processo di rinnovamento ed adeguamento ai tempi, queste ultime, cioè gli individui presenti in azienda esprimono bisogni anch’essi nuovi e diversi rispetto al passato.
Le persone soprattutto a certi livelli aziendali si sentono fortemente spinte a rinnovarsi, a rivedere i propri schemi mentali, ad acquisire strumenti utili per reinterpretare la realtà esterna e per potere gestire la dimensione della complessità.
Sentono cioè di dovere operare con flessibilità, fronteggiare l’incertezza e gestire l’ansia del nuovo.
La centralità dell’individuo nell’organizzazione e fortemente espressa e sentita, e per mantenere buoni livelli di performance, per confrontarsi con le situazioni nuove, in evoluzione e di maggiore complessità, occorre che ognuno sviluppi ed esprima nuovi aspetti di sé.
La autoconsapevolezza delle proprie risorse e dei propri limiti, ma anche delle proprie modalità di confronto con la realtà e di comportamento che ne deriva è quindi diventato uno dei primi, importanti bisogni che emerge a livello soggettivo.
La turnazione d’aula, pur effettuata con le modalità attive e coinvolgenti, non è in grado di rispondere ai nuovi bisogni e pertanto stiamo assistendo, in molti casi ad un vero e proprio salto di qualità nell’ambito della gestione delle risorse umane.
Si tratta di tutte le attività di coaching, mentoring, counseling che si connotano come attività one to one e che hanno, pur nelle loro diverse forme di attuazione, l’obiettivo di supportare la persona e favorire lo sviluppo e l’espressione delle sue qualità e capacità migliorando le performance da un lato ed acquisendo strumenti personalizzati per affrontare le sfide e le complessità a cui ognuno è chiamato.
Ecco allora delinearsi in modo nitido, la valenza, la necessità vera e propria del counseling visto come risposta ai bisogni espressi sia da parte dell’azienda che dall’individuo stesso.
Cio che intendo ora apportare è frutto dell’esperienza di questi ultimi tre anni che hanno visto, come già detto un aumento della richiesta di counseling. Chi lo ha richiesto? O meglio per chi, per quali ruoli da parte dell’azienda è stato richiesto?
Mi riferisco infatti agli interventi richiesti da parte della struttura aziendale quasi sempre a valle di un processo di valutazione del potenziale, o di una rilevazione a 360°, oppure di un imminente passaggio di ruolo per determinate persone.
Posso però aggiungere che si sta anche pian piano diffondendo la richiesta diretta da parte di alcuni professionisti, per lo più consulenti, che sentono personalmente l’esigenza e quindi si mobilitano autonomamente.
- Persone che per età, ruolo e posizione ricoperta necessitano di un intervento personalizzato, altamente flessibile nei tempi e specificamente mirato. Generalmente sono carenti nelle aree delle metacapacità come la gestione delle emozioni, la tenuta in situazione di stress, l’intelligenza sociale, la flessibilità.
- Chi ha avuto un avanzamento, ha assunto un ruolo di maggiore responsabilità ed esprime incertezza e difficoltà nelle nuove interpretazioni.
- Persone con elevato potenziale, dotate di buone competenze professionali.
- Persone che sono proposte o in attesa di uno sviluppo di carriera che può contemplare un avanzamento nel proprio settore o un cambiamento di ruolo per cui è necessario mettere a fuoco le diverse esigenze.
- Imprenditori o figure all’apice dell’azienda che hanno responsabilità di elaborare le strategie e di gestire le innovazioni ed i cambiamenti.
- Figli di imprenditori che sono in procinto di intraprendere la carriera nell’azienda di famiglia e desiderano verificare sia le reali attitudini e competenze, ma anche e soprattutto la loro predisposizione ed il loro desiderio in tale direzione.
ln questo variegato panorama di situazioni possiamo ritrovare alcuni obiettivi comuni dell’intervento, partendo dal presupposto che intendiamo il counseling come un processo di “accompagnamento”, affinché la persona ritrovi in sé risorse e capacità e si alleni ad una prefigurazione del futuro con la messa in atto di nuovi comportamenti aderenti agli obiettivi aziendali e personali.
Seguendo questa ottica le aree prevalenti di lavoro riguardano:
- La consapevolezza circa le proprie modalità di comportamento professionale, in modo da fare emergere le origini delle difficoltà, i nodi problematici ed i blocchi verso azioni al di fuori dei propri copioni.
- La ristrutturazione del campo percettivo del cliente con presa in carico della responsabilità degli avvenimenti e dei risultati conseguenti.
- ll consolidamento della personalità per renderla più stabile e sicura in modo da sviluppare senso di responsabilità e capacità decisionale.
- L’aumento della capacità di affrontare situazioni complesse, sviluppando l’attitudine al pensiero complesso.
- ll miglioramento dei rapporti interpersonali e della gestione emotiva e pragmatica conflitti.
Pensando alle varie definizioni utilizzate per descrivere il counseling, mi piace riportare quella dell’E.A.C. (Associazione Europea di Counseling):
“ll Counseling è un processo interattivo tra il counselor e un cliente, o più clienti, che affronta con tecnica olistica temi
sociali, culturali, economici e/o emotivi.
Può concentrarsi sulla modalità di affrontare e risolvere problemi specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, accrescere la conoscenza, la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni e conflitti interiori.
L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti I’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui sia come membri della società più vasta”.
ll motivo della scelta di tale definizione è rintracciabile nelle ultime righe che riflettono il mio pensiero: io credo cioè che un percorso di counseling possa aiutare veramente le persone a costruirsi una vita più soddisfacente e più ricca di risorse.
Per farlo occorre considerare le persone nella loro globalità di esseri umani inseriti sì nel contesto professionale, ma pur sempre con la propria ricca vita personale oltre che professionale.
Per fare solo un esempio, lavorare con una persona sul suo atteggiamento freddo, scostante, fonte di problemi relazionali con i collaboratori ed avviarlo verso un percorso di acquisizione di capacità di sentire gli altri in modo empatico, non serve solo per migliorare i rapporti in azienda ma anche, come ricaduta, quello con i figli o con il partner.
Come si ottiene ciò, come si lavora, cosa avviene nel counseling? Queste sono le domande che più spesso mi sento rivolgere.
Sostengo che l’aspetto più rilevante del percorso di counseling risieda nella relazione che si instaura con il cliente, e mi rifaccio alle definizioni rogersiane della relazione d’aiuto, basate sul rispetto, sull’accoglienza e sull’assenza di valutazione.
Sono proprio la considerazione positiva e l’accoglienza incondizionata, unita al rapporto empatico che consentono al cliente di fidarsi ed affidarsi al counselor, strutturare un’alleanza profonda ed intraprendere un cammino di consapevolezza e di crescita.
Occorre ora chiedersi quali debbano essere le competenze di un counselor ed in particolare di un counseling aziendale.
Ritengo che debba essere persona formata innanzi tutto nelle aree della relazione, capace cioè di instaurare rapporti empatici e fluidi; che sia consapevole del proprio impatto sugli altri e di ciò che gli altri suscitano in lui a livello emotivo.
Meglio che abbia effettuato quindi un percorso personale di crescita che gli consenta di sintonizzarsi con le aree fragili del cliente, di accoglierle man mano che emergono, e di favorire il loro evolvere. Ma, prima ancora del percorso personale, il counselor deve possedere una dimensione attitudinale verso l”‘altro da sé”, che parte dal riconoscere l’altro per arrivare a rispettarlo ed ad arricchirsi dalla diversità.
ll riconoscimento dell’altro determina interazione e reciprocità in una dinamica circolare che si autoalimenta e si pone come base della qualità della relazione.
All’interno di questa relazione il counselor si pone come figura autorevole che può guidare sul percorso, ed il cliente potrà attribuire valore e significato agli stimoli ed alle suggestioni ottenute.
Altra capacità che deve possedere riguarda la comunicazione in ogni sua forma dall’ascolto al non verbale, dalla persuasione alla negoziazione.
Solo a questo punto, dopo aver messo a fuoco capacità e metacapacità personali che permettono l’espressione di sensibilità interpersonale si può, a mio parere, fare riferimento agli strumenti conoscitivi specifici, indispensabili e che meglio si prestano alle espressioni del counseling aziendale.
Prendendo spunto ancora una volta dalla esperienza sul campo, ho rilevato che tra i vari modelli, l’Analisi Transazionale possiede alcuni tratti caratteristici che ne fanno strumento ben validamente utilizzabile.
lnnanzitutto per i valori che promuove: la visione positiva della vita, di sé e degli altri (ok-ness), il concetto di responsabilità e di autonomia.
“Ogni persona è Okay” è il primo assunto di A.T. che riporta ad un concetto di autostima, considerazione personale e di accettazione dell’altro. E più ancora mi piace qui sottolineare il concetto sviluppato da E. Berne riguardante la PHISYS, intesa come forza di crescita della natura che ha il potere di trasformare.
Altro aspetto peculiare dell’A.T. è quello di essere uno strumento di analisi e riconoscimento di comportamenti osservabili riguardo a sé ed agli altri. lnoltre possiede un linguaggio semplice, facilmente comprensibile in grado di rendere anche concetti complessi e sofisticati alla portata di tutti, con pochi schemi ed alcune specifiche nozioni.
Non intendo certo banalizzare o semplificare troppo l’A.T., anzi penso che negli anni passati questo sia avvenuto mediante una sua acritica diffusione, ritengo però che se ben gestita, da persone che ne conoscono a fondo iconcetti possa essere utilizzala in modo mirato ed efficace.
Mi riferisco, oltre che alla struttura di personalità definita con gli Stati dell’lo, alle leggi sulla comunicazione, all’empasse che costituisce spesso un blocco all’azione, ad alcuni giochi facilmente declinabili in ambito aziendale, ed al grande tema del copione inteso come modalità restrittiva e ripetitiva di azione.
La messa a fuoco delle ingiunzioni cioè dei messaggi negativi avuti nella prima infanzia, espressi a livello non verbale e rafforzati verbalmente, può avvenire durante la raccolta della biografia personale effettuata nei primi incontri. E così pure il riconoscimento dei Driver che le accompagnano e che diventano “ordini” interni ai quali non si può disattendere se si vuole evitare il disagio di non
“sentirsi okay”, e che contribuiscono spesso e mantenere la persona in uno stato di non piena espressione di sé e delle proprie potenzialità.
Questi sono solo alcuni esempi di come utilizzare l’A.T. nel processo di consapevolezza, favorendo la presa di coscienza e producendo la rottura del circuito vizioso.
Questo può avvenire perché diventando coscienti delle proprie modalità di e di azione, vedendone le connessioni interne e gli elementi ripetitivi si potranno ridurre le distorsioni percettive ed impedire il reiterarsi delle letture del proprio modo di essere coerente con il concetto di sé e con il proprio sistema di riferimento.
ln conclusione l’azienda ha la necessità costante di reinventarsi e ridisegnare i propri schemi, le persone che operano in uno scenario mutevole e turbolento corrono il rischio di perdersi o di entrare in uno stato di malessere e di cui esprimono sempre maggiori resistenze ad interpretare ruoli complessi.
Ecco allora che l’intervento di counseling può essere visto in un’ottica di benessere per l’individuo e, secondo una lettura sistemica, anche per l’azienda.
Può rappresentare uno spazio privilegiato dove si rallentano i ritmi produttivi in favore di un tempo per la riflessione; e dove la funzione del proprio spazio di vita non è totalmente scisso tra spazio personale e professionale.
Uno spazio dove si possono fare emergere elementi nuovi che possano mutare la visione di sé in relazione al contesto organizzativo ma anche più in generale alla propria vita.
L’esperienza vissuta negli incontri di counseling potrà essere integrata nel proprio schema e come ci dice A. Machado, il poeta spagnolo, “caminante, no hay camino, se hace camino al andar”, la via si fa camminando.