I confini dell’intervento di counseling nel colloquio: potenzialità ed
efficacia dell’AT.
Milly De Micheli
(AT- Rivista italiana di analisi transazionale e metodologie psicoterapeutiche,
XXVI, 13-14, 2006)
Definizione del counseling
L’ Art .6 dello statuto del CNCP recita così:
“Il Counseling è un processo relazionale tra Counselor e Cliente, o Clienti
(individui, famiglie, gruppi o istituzioni).
Il Counselor è la figura professionale che aiuta a cercare soluzioni di specifici
problemi di natura non psicopatologica e, in tale ambito, a prendere decisioni, a
gestire crisi, a migliorare relazioni, a sviluppare risorse, a promuovere e a
sviluppare la consapevolezza personale su specifici temi. L’obiettivo del Counseling
è fornire ai Clienti opportunità e sostegno per sviluppare le loro risorse e
promuovere il loro benessere come individui e come membri della società
affrontando specifiche difficoltà o momenti di crisi.
Il Cliente è la persona, la coppia, la famiglia o l’organizzazione che richiede di
essere aiutata mediante un’opera di supporto, in un percorso formativo o un
processo di sviluppo personale inerente una specifica problematica. “
Proseguo con una nota dal codice deontologico della stessa associazione :
“Sarà cura del Counselor mantenere la relazione di Counseling entro limiti di
tempo, di obiettivi e di contenuti tali da non creare sovrapposizioni indebite con
quanto attiene ad un trattamento psicoterapico.”
Sul campo del counseling come certificazione CTA l’EATA afferma:
“Il counseling analitico transazionale è un’attività professionale all’interno di una
relazione contrattuale. Il processo di counseling permette ai clienti o ai sistemi di
clienti di sviluppare consapevolezza, opzioni, capacità di gestione dei problemi e
dello sviluppo personale nella vita quotidiana, attraverso l’accrescere delle loro
forze e risorse. L’obiettivo è quello di accrescere l’autonomia in relazione al proprio
ambiente sociale, professionale, culturale. Il campo del counseling è scelto da quei
professionisti che lavorano in ambiti sociopsicologici e culturali. Alcuni esempi
sono: assistenza sociale, sanità, lavoro pastorale, prevenzione, mediazione,
facilitazione di processo, lavoro multiculturale e attività umanitarie (EATA, 1995).
Ho scelto di partire da due definizioni di counseling – quella del Coordinamento
Nazionale Counselor Professionisti CNCP e quella, più specifica nostra, dell’EATA –
e dalla sottolineatura di alcuni termini per evitare il rischio, che appartiene anche
agli analisti transazionali, di definire il campo del counseling e il suoi confini a
partire da ciò che esso non è (non è psicoterapia, non è campo educativo, non è il
campo dell’educazione), piuttosto che da ciò che è!
Confine
All’interno del campo del counseling, che può essere praticato secondo
diversi approcci psicologici, desidero soffermarmi sull’utilizzo dell’AT nel colloquio di
counseling, enucleando come questo modello sia utile nell’elaborazione del
concetto di confine e nella gestione potente del colloquio stesso entro il suo
confine.
Quando si parla di confini è opportuno chiarire che accezione si da al termine: si
può intendere il confine in senso restrittivo e contenitivo, come nel caso della
geografia politica o per due giardini contigui; in questo caso il confine è una linea
precisa, una barriera che separa un territorio da un altro: quello che è da una
parte, non appartiene all’altra.
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Questa accezione del termine confine, non ci aiuta ad avere chiarezza nelle aree di
applicazione dell’Analisi Transazionale e, se torniamo a quanto affermato sopra,
credo, neppure in quella della definizione del counseling in generale.
Per parlare dei confini nei diversi campi di applicazione dell’Analisi Transazionale,
infatti, dobbiamo accettare l’idea che ci sia una grande parte di teoria, di metodi e
di tecniche che sono territorio comune a tutti i campi di applicazione dell’AT e alcuni
strumenti, metodi e tecniche propri di alcuni campi e non di altri. 1
La metafora che più si avvicina è, come afferma J. Gregoire, quella di un campo
sportivo predisposto per diversi sport, con linee che ne delineano il contorno a
seconda dello sport praticato.
Il territorio comune è costituito dalla capacità di stare nella relazione in una
posizione ok-ok, dall’approccio contrattuale, dal corpus teorico di base dell’AT,
dalla griglia di lettura della problematica in ottica AT che sono patrimonio specifico
di tutti gli analisti transazionali.
Le caratteristiche dell’intervento transazionale, infatti, sono la scelta cognitiva – la
persona può pensare – , il qui-e-ora e il lavoro con il cliente, e non sul cliente, in
una relazione curativa intersoggettiva e paritaria sul piano relazionale, anche se
differenziata riguardo alle competenze, nella considerazione del valore e del
rispetto reciproco come persone.
Tecniche specifiche nel colloquio
Agire con il cliente da una posizione ok-ok, nell’incontro del colloquio,
significa riconoscere la persona nella sua valenza di valore intrinseco,
indipendentemente dal problema che presenta o dal vissuto agito.
Fondamentale è la creazione di una relazione di accoglienza e di fiducia
accompagnata da interventi precisi di lettura e di stimolo.
Credo che questo sia lo strumento più potente che l’at può fornire, uno strumento
che va sempre più affinato e approfondito, attraverso la messa in discussione di sé
nella verità.
Per il cliente, infatti, il percepirsi accolto, accettato, non giudicato, il cogliere che ci
si pone accanto a lui nell’osservare il problema per affrontarlo non
accademicamente, ma sul piano della realtà delle opzioni possibili per lui, è il primo
passaggio verso il riappropriarsi delle sue risorse. Spesso siamo soliti affermare
che il cliente è competente del suo problema, il counselor è competente nella
gestione del processo della relazione e di quello dell’intervento: questo facilita una
relazione di parità in cui si lavora insieme sul problema.
Affermo qui che il primo compito del counselor non riguarda il fare, bensì l’essere.
Essere, cioè, consapevoli, aperti, rispettosi, curiosi nell’incontro con l’altro da sé.
Per porsi in ascolto occorre conoscersi e mettersi da parte per fare posto all’altro e
avere chiarezza sul proprio quadro di riferimento, riconoscendolo come il proprio e
non come la realtà! Nell’ascoltare le affermazione dell’altro occorre separare
quanto è di stimolo rispetto alle proprie convinzioni e credenze, da quanto
costituisce per l’altro l’ostacolo alla soluzione del problema che porta.
Da questa nostra centratura sull’altro, questi potrà centrarsi su di sé ed esplorarsi
nella relazione con noi.
Questo atteggiamento di profonda stima e rispetto per la persona, non si
improvvisa ed è fondamentale in ogni relazione di aiuto.
Nel colloquio, in particolare, questo atteggiamento interiore si manifesta all’esterno
nei gesti e nelle parole che il counselor usa.
Mi riferisco qui a tutte le caratteristiche dell’accoglienza che il counselor può
costruire nella stanza del colloquio, come nel suo modo di porsi davanti all’altro. Se
usiamo l’AT possiamo attingere a tutte le caratteristiche degli stati dell’io nei loro
1 cfr Gregoire J., Sur quels critères fonder la cohérence et les frontières d’un champ
d‘application de l’AT ou de la formation?, AAT 18,72,1994,p.148-158
2
aspetti funzionali in connotazione positiva. È adeguato il Genitore affettivo positivo
accogliente, sensibile, accanto a un Genitore normativo positivo che dà struttura
nel tempo, nella puntualità, nel rispetto dei confini del setting; è adeguato l’Adulto
che si informa, ricerca i dati con precisione e attenzione finalizzata a ciò di cui si
sta parlando, al processo relazionale in atto e alla scelta dell’intervento più idoneo;
è adeguato il Bambino libero, vivace, interessato, partecipe, anche spiritoso, come
è adeguato un Bambino adattato positivo, che sta al suo posto, che non risponde al
telefono o alla porta, in “obbedienza” allo stare con l’altro per il tempo stabilito.
Contenuto del counseling
Il contenuto del counseling, partendo dalla richiesta della persona che va
decodificata e contrattualizzata, è costituito da un intervento per aumentare le
potenzialità e la ricerca di opzioni efficaci con persone strutturalmente sane o con
persone portatrici di una patologia che richiedono un accompagnamento per un
problema specifico e non per i sintomi legati alla patologia: in questo ultimo caso,
di solito, più professionisti o servizi si occupano della persona.
Come abbiamo visto, il campo del counseling ha come oggetto lo sviluppo delle
potenzialità della persona; credo, invero, che anche la psicoterapia porti allo
sviluppo delle potenzialità della persona, ma, di solito, la psicoterapia ha come
obiettivo l’alleviare i sintomi e la guarigione. Ecco qui una distinzione importante e
chiara: alleviare i sintomi e guarigione sono oggetto di psicoterapia, mentre
aumentare le potenzialità sono oggetto del counseling.
Da qui derivano il contratto e, dal contratto, le tecniche dell’intervento.
Torniamo alle definizioni per restare sul tema dello specifico del counseling.
Mi interessa qui sottolineare un confine esterno e un confine interno: il confine
esterno è stabilito dal campo e dal contratto; il confine interno è definito dal livello
dell’intervento e dalle tecniche usate: mi riferisco qui alla diagnosi della
problematicità in termini strutturali di personalità e all’attenzione a lavorare con la
struttura di I ordine, senza sconfinare.
Rispetto ai termini sottolineati nelle definizioni intendo qui, soprattutto, evidenziare
come parole chiave il processo relazionale, i problemi di natura non
psicopatologica, le situazioni di crisi, lo sviluppo delle risorse, l’aiuto nel prendere
delle decisioni importanti e lo sviluppo della consapevolezza personale su specifici
temi, che analizzerò singolarmente.
Processo relazionale
Vittorio Soana afferma: “ Proprium del Counseling è la facilitazione della
relazione e la competenza specifica del Counselor è una competenza relazionale.
Riteniamo che l’esercizio sociale di questa competenza rivesta oggi un’importanza
cruciale…
In particolare pensiamo che il counseling possa costituire uno strumento
importante là dove ci si proponga di sostenere l’uomo nel proprio crescere, nel
tenere insieme la propria vita, nel trovare o nel ritrovare l’orientamento necessario
a mantenersi positivamente in attaccamento.
Crediamo si possa in questo senso parlare di una valenza esistenziale del
Counseling là dove questo va a potenziare la modalità con cui l’uomo è in relazione
con sé, con le cose, con la natura, con gli animali, con gli altri.
La pratica del Counseling non può essere quindi confusa con altre competenze o
data per scontata: la facilitazione della relazione costituisce a nostro avviso una
dimensione professionale specifica sia quando esercitata in modo esclusivo (il
Counselor) che in associazione ad altre professionalità.2
Il processo relazionale e la necessità di strumenti adeguati alla sua gestione
costituiscono aspetti comuni a molti campi – non solo di AT – e non per questo
2 Soana V., in Quaderni di Counseling – N. 1/2003
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credo che si tratti di una sovrapposizione o di uno sconfinamento.
La facilitazione del processo relazionale diventa lo specifico nella gestione del
colloquio di aiuto, quando al counselor si rivolga un cliente per una richiesta
specifica. Già su questo primo punto possiamo trovare nell’AT, a partire dalla sua
filosofia di base dell’okness, gli strumenti della lettura e dell’utilizzo adeguato della
comunicazione consapevole come facilitazione alla costruzione della relazione.
La relazione non è la comunicazione, ma questa ne costruisce il processo e ne
consente la lettura.
Natura non psicopatologica
Prima di prendere in carico una persona per un percorso di counseling
occorre fare una valutazione del livello di “gravità”. Infatti nella definizione citata
all’inizio si definisce chiaramente come oggetto dell’intervento del counselor Il
lavoro su
problemi di natura non psicopatologica. In ogni buon programma di formazione al
counseling sono presenti elementi di psicopatologia descrittiva perché i counselor
siano in grado di attenzionarsi su disagi psicologici o sintomi particolarmente
significativi che necessitano dell’intervento di altre figure professionali. Il problema
si incontra nell’accorgersene, perché la persona di solito, non lo dice: quasi sempre
perché non se lo riconosce o per difesa, o per altri motivi.
Ritengo che chi conosce bene l’AT sappia diagnosticare già da un primo colloquio,
nella lettura degli stati dell’io, se si trova di fronte una contaminazione e a quale
livello oppure ad una esclusione.
Es: “Per poter condurre il gruppo devo conoscere tutto ciò di cui sta discutendo il
gruppo”(contaminazione)
“Per strada mi salutano persone che io non conosco: mi avranno trovata su
internet?”(esclusione)
Nella mia esperienza di supervisione di counselor, ho riscontrato che non è difficile
che persone con un disagio pesante si rivolgano al counselor invece che ad un altro
professionista, talvolta per incompetenza, ma, talvolta, per timore. La figura del
counselor, proprio per sua definizione, non si occupa di patologia e questo può
indurre a pensare: “Se vado dal counselor…. non sono “ malato”.!”
Purtroppo, non funziona così.
Si pone allora la domanda su quale sia, in questo caso, il compito del counselor.
Io credo che si possano verificare due situazioni: la persona che vuole realmente
alleviare il suo disagio e vuole fare qualcosa ed è quindi disponibile ad una
informazione di invio ad un altro professionista e quella che è molto lontana da
questa ipotesi.
In entrambi i casi il counselor ha il compito di facilitare e accompagnare la persona
all’invio. Il primo caso è il più semplice e, spesso, questo avviene già nel primo
colloquio. Nel secondo caso, invece, l’obiettivo deve essere quello di chiarire e
motivare all’intervento necessario, facendo emergere la problematica, senza
intervenire su di essa.
Potenzialità della persona
Vediamo allora come il counseling si rivolga a sviluppare le potenzialità di un
individuo, che presupponiamo “sano”, cioè non affetto da patologie gravi in atto e
che non richieda il counseling per attenuare i sintomi delle patologie (Es: “Sono
venuto perché soffro di attacchi di panico”).
Intendo qui riferirmi a persone strutturalmente sane che si trovano in difficoltà
esistenziali, in situazioni di crisi, lutti, cambiamenti, ma anche a persone in
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trattamento per qualche patologia che richiedano il counseling come supporto per
affrontare, per esempio, un percorso lavorativo o una situazione che crea disagio a
livello sociale o relazionale.
Naturalmente tutte queste persone, talvolta, si rivolgono ad uno psicologo o ad uno
psicoterapeuta portando questo problema e ritengo che , in questo caso, lo
psicologo o lo psicoterapeuta facciano un intervento di counseling.
Rimane il dato più importante, che ricaviamo dalle definizioni precedenti, dove si
parla di “individui strutturalmente sani, inseriti in contesti sociali e che prendono
decisioni riguardo al loro benessere.” Se l’obiettivo è quello di ritrovare risorse e
ricercare opzioni troviamo nell’uso delle transazioni come stimolo allo stato dell’io
Adulto del cliente uno strumento adeguato per lavorare sulle contaminazioni che
portano al blocco da cui nasce il problema portato.
Elementi di diagnosi del problema
Chiediamoci allora in che cosa e come l’AT possa aiutare a individuare
l’individuo sano, cioè sufficientemente strutturato, e come essa sia utilizzata
nell’intervento.
In un primo incontro gli strumenti possibili sono le transazioni e la lettura della
comunicazione. E questi stessi strumenti saranno usati dal counselor nella gestione
di tutti i colloqui che costituiranno l’intervento. Facendo supervisione agli operatori
del Centro di Counseling dove offro il mio servizio, ho osservato che le persone
abbastanza strutturate trovano un maggiore benessere e si portano via chiarezza
già dal colloquio preliminare in cui l’operatore ha il compito di accogliere e quello di
raccogliere i dati sulla persona e sulla problematica che porta. Questo è dovuto
all’instaurarsi di una relazione positiva e di accettazione senza giudizio e aperta
all’ascolto e ad un uso della comunicazione facilitante e pulita, che non manda
messaggi ambigui e chiarifica le incongruenze. E’ questo che le persone
sottolineano: ”Non avevo mai parlato con nessuno in questo modo! Mi sento già
meglio!” e non è stato ancora fatto alcun intervento!
Questo significa che già lo stare in relazione con una persona consapevole che usa
il suo stato dell’io Adulto, che ascolta e interroga esplorando le situazioni non
chiare, i non detti, gli aspetti svalutati, che usa la comunicazione diretta, senza
messaggi contaminati o ambigui, costituisce una facilitazione al cambiamento.
Ascoltando attivamente e attentamente la persona che ci parla si coglierà quali
sono le convinzioni genitoriali o le illusioni del Bambino che costituiscono ostacolo
ad una soluzione del problema e, attraverso l’uso delle tecniche berniane di
interrogazione, specificazione e confronto, sarà possibile che la persona,
sentendosi ascoltata e compresa, colga le sue alternative. La lettura del problema
presentato in termini di contaminazione è, infatti, il primo passo per impostare il
colloquio di counseling.
Contratto : protezione e confine temporale
Per quanto riguarda la competenza e la responsabilità del counselor a
mantenere la relazione entro limiti di tempo, contenuti e obiettivi, propri di questo
intervento e non di altri interventi di aiuto alla persona, sarà utile qui attingere a
tutte le attenzioni e le tecniche per fare un buon contratto, confrontando le
grandiosità e le attese magiche del cliente, come pure le proprie, attraverso una
valutazione con lo stato dell’io Adulto, e rifarsi ai principi etici che richiamano a
non farsi carico di ciò di cui non si è competenti o legalmente “abilitati”, secondo le
norme del Genitore, e a quantificare il tempo che occorre per completare il piano di
trattamento necessario, ancora con una attenta valutazione dell’Adulto.
Lo strumento del contratto è di fondamentale importanza per definire l’obiettivo
dell’intervento e determinare la sua efficacia: in questa fase ogni analista
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transazionale è chiamato a chiarificare al cliente e a se stesso se l’obiettivo è
possibile, congruo e se lui è in grado di accompagnare la persona in ciò che sta
chiedendo. Berne parla di mostrare il proprio campionario! Qui è il momento di
esplicitare con il cliente la specifica della propria professionalità, il tipo di
intervento, chiarire i dubbi del cliente, talvolta spiegare la differenza di obiettivo tra
un intervento clinico e un intervento di counseling, trovando la verbalizzazione che
il cliente sia in grado di comprendere per fare una scelta consapevole.
A fianco del contratto di lavoro in senso stretto collochiamo l’atteggiamento
contrattuale del counselor transazionale, che è la traduzione pratica della filosofia
dell’okness nella relazione terapeutica. Attraverso di esso, in attenzione ai dati di
realtà rappresentati del cliente con cui si è in relazione, si costruisce con lui la
possibilità di contrattare il possibile e verificabile cambiamento.
È l’Adulto del counselor che ricerca tutte le informazioni per prendere la decisione
di assumere in carico la persona, valutando se il problema che porta richiede un
intervento di counseling o no. Il contratto prevede anche la definizione della durata
dell’intervento e occorre essere realisti sulla possibilità di aiutare la persona su
quello che chiede nei tempi brevi dell’intervento di counseling.
Come già accennavo, già nelle prime fasi di accoglienza e di ascolto e dalle prime
domande investigative è possibile valutare se è presente una patologia grave che
non consente un intervento efficace. Mi riferisco qui alla lettura di come la persona
sta in relazione, alla diagnosi sociale degli stati dell’io, alla lettura puntuale delle
transazioni. Quando sono presenti transazioni tangenziali, un alto livello di
grandiosità, pesanti disturbi del pensiero, contenuti deliranti, oltre, naturalmente, a
sintomi dichiarati quali attacchi di panico, fobie gravi, comportamenti auto ed
eterodistruttivi , non è difficile accorgersi che il cliente non è adatto a un
counseling breve. In questo caso il counselor può fare un prezioso lavoro di
accompagnamento all’invio in psicoterapia o ad uno specialista della salute
mentale; infatti, solo attraverso la costruzione di una relazione di fiducia e di
riconoscimento, sarà possibile un invio riuscito.
Intervento
Una situazione molto diversa si presenta quando la persona “strutturalmente
sana” presenta contaminazioni cognitive rispetto alla situazione problematica che
porta o anche un certo stato di disagio emotivo, riconducibile alla situazione
stressante che sta vivendo e che ha compromesso temporaneamente un equilibrio
personale precedente.
La struttura della personalità descritta attraverso il modello degli stati dell’Io GAB è
uno strumento prezioso per il counselor sia nell’identificazione della problematica
che nella lettura del processo dell’intervento, sia ancora nella scelta degli strumenti
“tecnici” da usare per raggiungere l’obiettivo di facilitare la persona nel suo
comprendersi e nel suo cambiare rispetto al problema.
Nel lavoro cognitivo con la persona, nel qui-e-ora, il counselor mette in pratica
l’intervento berniano lavorando con l’Adulto del cliente, lo stimola e gli permette la
possibilità di pensare qui-e-ora rispetto alla sua realtà del momento, in una
relazione in cui ci si è accordati di lavorare insieme su un problema specifico e ben
definito. Nel counseling, infatti, non ci sono investigazioni su territori non esplicitati
nel contratto, né interpretazioni sul cliente o il suo vissuto che costituirebbero un
cambio di setting.
Nella scelta cognitiva, interagendo con l’Adulto del cliente, il counselor accede alle
informazioni del Genitore e del Bambino del cliente per quanto è utile a chiarificare
il problema portato e l’elaborazione di una opzione diversa.
Nella richiesta di counseling il contenuto del contratto riguarda quasi
esclusivamente il livello sociale e non il livello profondo della persona.
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Come ho detto, si utilizza nella diagnosi e nell’intervento la struttura di I ordine
GAB, leggendo la contaminazione e lavorando con A2. Questo determina la scelta
degli interventi: la decontaminazione in primis, che permette al cliente di
decodificare che cosa costituisce il blocco ad una soluzione diversa e a
intravederla possibile per lui; in alcuni casi sono utili, nella relazione di counseling
di sostegno, tutti gli interventi che Berne descrive nel cap. 10 di “Principi di terapia
di gruppo” dopo aver insegnato le operazioni terapeutiche come AT in azione.
Non si pratica invece, nel counseling, nessun lavoro strutturale sul Genitore né la
deconfusione del Bambino; va evitata ogni tecnica regressiva indotta, privilegiando
la capacità di stimolare il recupero del qui-e-ora e la gestione delle emozioni
sentite qui-e-ora.
Es.: “ Che cosa ti diceva tuo padre rispetto a questo ?“ e non “Sii tuo padre e….”
“Che cosa hai provato mentre eri in quella situazione” e non “Stai in contatto con
questo sentimento, dove sei, che c’è con te, quando l’hai provato la prima volta..
ecc” che sono interventi propri di un lavoro sul profondo che richiede una alleanza,
delle competenze professionali e, soprattutto, un contratto di un altro livello.
Come sottolinea la definizione delle core competencies dell’EATA il counselor
accede al Genitore e al Bambino attraverso l’Adulto, cioè attraverso la
verbalizzazione sia dei messaggi genitoriali (convinzioni, ordini, divieti…) che delle
emozioni.
Chi si forma e pratica il counseling raramente trova in letteratura lavori specifici
sulla diagnosi nel counseling e deve quindi attingere al materiale della psicoterapia
e tradurla per il suo campo.
A questo proposito cito un lavoro prettamente clinico quale l’approfondimento della
teoria dell’impasse fatto da Ken Mellor che utilizza la lettura della comunicazione
osservando la minore o nulla capacità di verbalizzazione per identificarne il grado,
l’età di insorgenza e l’intervento richiesto.
Eccone le caratteristiche: poiché l’impasse di I grado è in collegamento con i
drivers, si sviluppa quando il bambino è in grado di capire il linguaggio (4-8 anni);
lo stato dell’io che viene coinvolto a livello di apprendimento è A2 e, poiché questo,
cronologicamente, è l’ultimo, è sufficiente il modello strutturale di I ordine; il livello
di consapevolezza temporale è completo; la comunicazione verbale è ben
differenziata sia per le esperienze interne che esterne; le reazioni emotive sono
ben differenziate e la persona è in contatto con la sua realtà; la decisione presa è
verbalizzabile e la persona è sensibile agli stimoli che provengono dalla realtà
esterna.
Riporto qui, per chiarezza di esposizione, una semplificazione della tabella con
alcuni degli items con cui Mellor identifica l’impasse di I grado (ne sono sufficienti
solo due per diagnosticarlo).
Il blocco generato dal conflitto G2-B2, comunemente definito impasse di I grado, è
oggetto dell’intervento di counseling, perché può essere affrontato e risolto con la
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prese con le parole
differenziati e specificati
le parole trasmettono i messaggi
passato – presente – futuro, qui-là
complete
aumentano con l’età
dai 2 anni
decisioni
sentimenti
comunicazione
consapevolezza spazio-tempo
abilità somatiche
abilità verbali
età
Impasse di 1° grado
ricerca di una mediazione possibile, attraverso l’uso dell’Adulto, ancorato al piano
della realtà qui-e-ora. Nel counseling, secondo il mio parere, non si usa la tecnica
delle sedie, perché l’azione stessa determina un intervento sulla struttura di
personalità che riservo al campo della psicoterapia.
Ho osservato che la persona contatta abbastanza facilmente i messaggi verbali e
può essere in grado di aggiornarli attraverso un lavoro di consapevolezza cognitiva
quale è quello, appunto, del counseling. Questo è il processo che la persona
compie nella naturalità nelle aree che non si rivelano problematiche o prima che si
manifesti una situazione di crisi, spesso dovuta a situazioni o eventi esterni o a un
cambiamento, per esempio, dello stato di salute proprio o di un congiunto.
L’interazione con l’Adulto del counselor stimola quello del cliente, in un processo
che questi è già in grado di compiere e che è solo da ripulire, da far ripartire.
Diverso è, naturalmente, il caso dell’impasse di II e III grado che richiedono un
lavoro sul B sia da un punto di vista strutturale che funzionale.
Nel riattivare un processo che la persona possiede naturalmente, il counselor può
utilizzare con efficacia la trilogia di Rissman3 , stimolando le possibili collaborazioni
o le mediazioni tra gli stati dell’io, per trovare una soluzione possibile ed adeguata
al qui-e-ora. Queste sono stati riprese da M. Klein in un lavoro che è stato anche
tradotto nel N. 8-9 della rivista AT in cui l’autrice definisce la contaminazione fra
due stati dell’io come una opzione che il Bambino si è dato per risolvere il conflitto
dell’impasse, a costo di un grande dispendio di energia psichica e determinando
così solo una pseudosoluzione. Rispetto al problema il counselor può aiutare il
cliente a dare un giudizio nel caso del conflitto G-A; a trovare alternative rispetto a
quello A-B e un compromesso tra G-B, affrontando il pregiudizio, l’illusione e
l’inflessibilità.
Le specificità del setting, del contratto, del piano di trattamento e delle tecniche di
Counseling permettono non solo di distinguere l’intervento di Counseling
dall’intervento psicoterapeutico sulla struttura profonda, ma anche, e soprattutto, il
potenziamento e la visibilità dell’intervento a seconda dei differenti ambiti in cui
questo viene effettuato.
Nella consapevolezza di sé e nella scelta di quale stato dell’io energizzare nella
relazione, il counselor interviene, facilita l’esplorazione del problema da parte del
cliente e ne elabora con lui le opzioni risolutive nel rispetto della libertà e della
dignità del cliente in una relazione di aiuto da persona a persona.
L’intervento transazionale poggia la sua validità nella qualità della relazione. Infatti
la persona ha bloccato il suo potenziale adattandosi a messaggi limitativi che ha
percepito all’interno di una relazione G-BA
Se il parlare del problema utilizzando naturalmente le transazioni avviene in una
relazione differente e attraverso stati dell’io differenti A-A, e GAB-GAB, la persona
farà, nel setting, una esperienza di sé diversa da quella che è solito fare, si
percepirà ok e persona di valore e, come lì ha energizzato il suo stato dell’io
Adulto ripulito dalle contaminazioni, sarà in grado di introiettare il percorso fatto
come un nuovo schema mentale e relazionale e di immagine di sé che potrà usare
al posto di quello meno funzionale alla soluzione dei problemi del presente.
Conclusione
Il colloquio di counseling, condotto attraverso la diagnosi del problema in
termini di contaminazione e l’intervento con l’Adulto del cliente utilizzando le
tecniche descritte da Berne è un intervento con la persona, in particolare quella
che definiamo non psicopatologica, in un percorso di empowerment in situazioni
temporanee di crisi o in ordine a scelte esistenziali.
L’AT e i suoi assunti fondamentali: il qui-e-ora, la scelta cognitiva, il lavoro con il
cliente e nell’efficacia delle sue letture diagnostiche, che utilizzano criteri chiari e
3 Rissman A., Trilog, TAJ, :V,2,1975
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condivisibili rispetto alla personalità sia negli elementi strutturali che funzionali,
offre al cliente l’opportunità di una esperienza, anche breve, nella direzione
dell’autonomia attraverso un intervento di counseling preciso e potente.
Partendo dalla mia esperienza di didatta e supervisore di counselor individuo in
questo lavoro i punti di attenzione per il professionista counselor nella relazione di
aiuto con il suo cliente.
Gli strumenti dell’Analisi Transazionale, in particolare il contratto, la struttura della
personalità e le tecniche berniane costituiscono una griglia precisa e flessibile nella
diagnosi della problematica, nella pianificazione e nella gestione dell’intervento.
In parallelo mi soffermo sugli impegni e i vincoli di questa professione con
riferimento al codice deontologico del counselor professionista nel nostro paese.
Berne Counseling – l’Analisi Transazionale per il sociale
Berne Counseling promuove una serie di iniziative di formazione, consulenza, supervisione e divulgazione rivolte a tutte quelle persone che desiderano evolvere e crescere nella propria vita personale o professionale.