Il resto della settimana

M. De Giovanni, Il resto della settimana, Rizzoli, 2015, 300 pagg.

La recensione

Questa recensione è a cura di Claudio Romeo, counselor diplomato presso la Scuola Superiore di Counseling del Centro Berne, che mi ha segnalato questo libro che a lui è piaciuto molto. Ne fa una lettura transazionale molto interessante e con uno sguardo (per il calcio) marziano.
G.P.


Il resto della settimana è uno dei numerosi libri che Maurizio De Giovanni (autore peraltro molto noto per i gialli della serie3333105-9788817079198 del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone) ha dedicato al Napoli, intesa come squadra di calcio. Il libro parla della passione dei napoletani, una passione che per modi e intensità è francamente inconcepibile a chi non è afflitto dal morbo.
Qui siamo nel regno del Bambino Naturale. L’autore parla di passione, ma io credo che dalle sue parole trapeli qualcosa di più. È il riconoscimento che il Bambino Naturale non è un pazzo che non ha ancora imparato a frenare, ma un capitale di umanità che non va sepolto bensì coltivato.

L’entusiasmo. Lo scoppio di una gioia imprevista e improvvisa. Vincere sul campo, senza dubbi, senza riserve. E soprattutto la condivisione: abbracciarsi urlando, saltellare tenendosi per mano, inveire insieme, perfino scoppiare a piangere uno sulla spalla dell’altro. Tu citami quante volte, nella normale vita di un adulto contemporaneo, ti può capitare, se escludi il pallone.

E poi…

[…] c’è un bisogno fisico di urlare, cantare e ballare senza freni, almeno una volta ogni trent’anni.

E ancora…

Se molta gente prova lo stesso sentimento, non c’è un’identità? Se due persone si vogliono bene, non diventano una coppia? E se vivono insieme, non sono una famiglia?

Qui siamo ben oltre gli Stati dell’Io: siamo agli impulsi vitali. All’identità di sé, all’appartenenza.
Poi possiamo discutere all’infinito su quanto sia sano limitare la soddisfazione di queste pulsioni allo stadio (e a una volta ogni trent’anni, per dirla con De Giovanni), ma il punto non è questo. Il punto è che il morbo è una necessità umana.
Mi sento di mettere comunque in guardia il lettore: se non ti sei mai affacciato al balcone gridando come un pazzo per un gol insperato, se non sei mai sceso in strada abbracciando perfetti sconosciuti, se dai gradoni dello stadio non ti sei mai alzato in piedi tra le lacrime di strazio ad applaudire i tuoi ragazzi che hanno perso partita e occasione della vita, ma che ce l’hanno messa tutta, forse leggere questo libro non ti offrirà molto.
Soprattutto se vuoi capire che cos’è il morbo, non leggerlo. Citando Ligabue a proposito della vita: Umana commedia: c’è chi la spiega e c’è chi la vive e va.
E proprio questa necessità di capire è il punto di partenza del romanzo: un professore universitario, ormai avanti con gli anni, vedovo e del tutto disilluso, decide che è arrivato il momento di scrivere il libro che coroni la sua vita. Perciò sceglie di spiegare al mondo il morbo dei napoletani per il calcio. Già, però prima deve capirlo lui…
Così si insedia in pianta stabile in un bar, per osservare la massa di esagitati che parlano del calcio con un trasporto e una passione del tutto incomprensibile: ai suoi occhi di scienziato osservatore sembrano tutti dei marziani.
Ma a poco a poco, il ghiaccio si scongela. E quando comprende il morbo, quando il cuore inizia a offrire motivi che la ragione non può intuire né contrastare, allora succede ciò che deve succedere: il disilluso professore si innamora. In terapia e nel counseling se ne vedono tante, di storie così…
Per chi ama il calcio, infine, fra i tanti libri scritti sul tema citerei anche due capolavori: Febbre a 90°, scritto nel 1992 da Nick Horby per Guanda e poi diventato un film di culto, e Fútbol. Storie di calcio, scritto da Osvaldo Soriano per Einaudi nel 1998.