
La recensione di Berne Counseling
Dev’essere il periodo o forse sono io che ne ho bisogno, sta di fatto che ultimamente ho visto alcuni dei film più positivi, belli e divertenti di quest’anno: “Dio esiste e vive a Bruxelles”, “Perfect day” e questo, “Joy”. Parlo di quest’ultimo solo perché è il meno valorizzato dalla critica, ma anche perché è la prima volta, mi pare, che una donna di oggi nel mondo degli affari è descritta in modo umanissimo e vincente, senza essere una stronza che veste Prada.
Joy è la storia avvincente di una vita che parte proprio male.
Con un padre scombiccherato troppo preso dai suoi guai per essere un punto di riferimento e poi capace di essere perfino invidioso del successo della figlia da farsi scappare alla fine un: ”sono fiero di te … devo ammetterlo!”
Con una madre ritirata dalla vita, dipendente e inutile, confinata nella sua camera da letto da cui non esce mai e dove vive solo attraverso i finti drammi delle soap opera televisive.
Eppure questa ragazzina si salva e lo fa perché ha due amiche, una coetanea, compagna di giochi e di intimità, che interverrà al momento opportuno a darle una mano, e una nonna che le farà una premonizione di successo. Come una maledizione al contrario, un’ingiunzione positiva, si potrebbe dire.
Si salva perché fin da piccola coltiva la sua creatività giocando all’inventrice senza sognare un principe azzurro (pensa un po’).
Non che in questo film gli uomini non siano importanti, anzi, e infatti quelli che avranno fiducia in lei saranno accanto a lei per sempre, come (pensa un po’) l’ex marito.
Già perché le amicizie, più spesso dei matrimoni, possono durare tutta la vita.
E lo stesso accade sorprendentemente per un altro maschio, giovane, bello, simpatico, di successo che la aiuta senza diventare il suo amante (pensa un po’), ma resterà un collega e un amico sincero (pensa un po’) fino alla fine.
Ma allora si può essere amici sul lavoro, anche quando le strade si possono incrociare e rischiare di entrare in competizione? Sembrerebbe di sì se, come Joy, si riesce a mantenere il cuore aperto e generoso, nonostante le invidie e le gelosie disseminate anche dentro casa.
E questa è una grande novità direi e anche un bell’auspicio.
Ma non crediate che sia un film sdolcinato, il mondo familiare di Joy è sconclusionato, le persone che cercano il successo finiscono per perdersi dietro sogni irrealizzabili a cui però hanno dedicato, sprecandosi, ammuffendo e incattivendo, la vita. Una su mille ce la fa, ma questa volta senza massacrare nessuno, senza abbandonare per strada le relazioni vere e sincere. E, alla fine, tutto sommato “uno su mille” non è nemmeno un gran che come sogno americano e Joy, proprio in quel mondo americano così disastrato e infido, invaso letteralmente dagli intrecci fatui delle soap opera, resta una “madre coraggio” davvero.
Due parole merita anche il cast: Jennifer Lawrence, la protagonista, è brava e versatile nell’interpretare le diverse fasi del suo personaggio: dalla madre affranta e iper indaffarata (in cui tutte le donne che lavorano e hanno figli si identificano in un lampo), alla ingenua e sfortunata aspirante venditrice, alla guerriera del business. Robert De Niro interpreta magistralmente un padre che si ama e si odia a ogni apparizione tanto è vitale, tenero e sballottato dall’inconcludenza. E poi anche Isabella Rossellini, una consolabile vedova, che riesce a nobilitare il suo piccolo ruolo con una maschera iperrealista da riccastra americana. Ma anche tutti gli altri sono bravi e al posto giusto e tutti con una loro storia dietro le quinte da raccontare per giustificare le proprie nullità. Questo film non è un capolavoro intendiamoci, è un film americano medio, ma David O. Russel è un regista che narra storie da “ottimista del grottesco” (l’ha scritto un critico), sempre godibili. Suo è l’altrettanto bello “Il lato positivo”, anche quello un film piccolo, ma anche quello con una gran bella storia da raccontare e su cui riflettere.
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