L’Analisi Transazionale nell’attività di counseling

Counseling come Rapporto Umano

“Counseling deve essere prima di tutto un incontro umano. Un incontro autentico ci fa fare l’esperienza di una vera premura reciproca. Incontro significa partecipare alla vita dell’altro, condividere il suo modo di essere nel mondo”
Adrian Van Kaam

Stiamo assistendo in questi tempi ad un crescente aumento delle attività di counseling richieste da aziende o da singoli professionisti che si rivolgono alla nostra società di consulenza.

La domanda non è sempre chiara anzi più spesso è indefinita circa le reali esigenze e gli obiettivi da raggiungere, ma invece è esplicita nella richiesta di aiuto e di supporto al processo di evoluzione e crescita personale.

Spesso ciò che viene posto in prima istanza è l’aiuto per superare un certo impasse, per sbloccare situazioni stagnanti, per acquisire un “qualche cosa in più” indefinito ed incerto che sembra essere proprio ciò che manca per ottenere il successo desiderato.

Altre volte le capacità da acquisire sono già delineate, derivano da attività precedenti di valutazione, 360°, assessment center o riscontri del Responsabile, e sono espresse nei punti deboli o di miglioramento.

Ma anche in questi casi occorre poi ridefinire, tradurre la capacità che risulta espressa con una fredda terminologia tecnica e standardizzata in comportamenti personalizzati, cioè adatti a quella persona, con le sue peculiari caratteristiche di personalità in quel contesto stante le premesse ed i vincoli esistenti.

Inizia così un rapporto di counseling con l’incontro di due persone finora sconosciute tra le quali si deve instaurare un rapporto speciale, di alleanza e fiducia come vedremo più avanti, tale da consentire di percorrere un pezzetto di strada insieme, durante il quale chi necessita aiuto lo possa accettare e tenere, mentre chi lo offre possa essere coinvolto e mettere in atto non solo le sue competenze tecniche, di certo indispensabili, ma anche la sua partecipazione emotiva verso la persona in difficoltà.

Le radici del counseling

Da quando l’uomo è al mondo gli atti di porgere ascolto, offrire sostegno, rassicurare, incoraggiare nell’azione hanno fatto parte della relazione spontanea tra gli essere umani.

Possiamo però fissare alcuni momenti fondanti di quella che è ora diventata una vera e propria professione, nata e sviluppata nella cultura americana almeno una cinquantina di anni fa, ed ora in via di affermazione sempre più rapida anche da noi.

Le radici del counseling sono quindi sicuramente molte, e non sempre definibili con certezza, alcune sono però chiaramente identificabili e provengono da due diversi filoni: dalla psicologia sociale ed umanistica degli anni Cinquanta con il suo risvolto nella psicoterapia, e dalle discipline e teorie aziendali sviluppate a partire dagli anni Settanta.

C. R. Rogers esponente di spicco di quella che è chiamata la “terza forza della psicologia – la psicologia umanistica – attiva negli anni 50 a Chicago il Centro di consultazione, ed è qui che si può collocare la nascita ufficiale del counseling.

Nella “Terapia centrata sul cliente” si può vedere come egli inizi a porre il cliente al centro della terapia, responsabilizzandolo ed aiutandolo ad individuare le risorse interiori per risolvere i problemi.

“Aiutare il cliente ad aiutare se stesso” sostiene C.R. Rogers, attraverso l’ascolto partecipe in un clima genuino ed empatico.

Dopo una vita intera trascorsa a studiare le modalità di approccio alle persone, e basandosi sulla più che ventennale esperienza dei “Centri di Counseling” egli arriva nel 1977 ad affermare la possibilità di attuare una “rivoluzione silenziosa” che contiene in sè il potenziale per modificare l’essenza stessa della psicoterapia, della educazione e del management ben aldilà di quanto non si potesse immaginare.

Questa “rivoluzione” si basa prioritariamente sull’approccio centrato sulla persona ed è estendibile, secondo le sue stesse parole, anche al mondo organizzativo ed aziendale.

Attingendo ora, in questo rapidissimo sguardo al passato dal versante delle discipline manageriali troviamo E. Schein che già nel 1969 parlava della consulenza come capacità/attività di “aiutare gli altri ad aiutare se stessi”.

Egli afferma inoltre che la consulenza “si basa su ipotesi molto simili a quelle della consulenza praticata in psichiatria clinica, il cui metodo centrale sta sul guidare il paziente a trovare da sé la soluzione ai propri problemi”. (1)

Il suo intento, esplicitato chiaramente, è stato quello di formulare una teoria generale dell’aiuto, che prescinde del contesto in cui l’aiuto viene richiesto.

Così tra le attività che egli indica nel percorso della consulenza ce ne sono molte di tipo cognitivo come informare, addestrare, diagnosticare, ma anche altre attinenti alla sfera relazionale quali: ascoltare, sostenere, confrontare, attenuare l’ansietà, fornire solidarietà emotiva per aiutare a superare le situazioni difficili.

Il consulente, nella visione di Schein, non offre soluzioni né si fa carico del problema del cliente, ma lo conduce ad affinare le sue capacità di soluzione del problema.

Egli definisce la consulenza di processo come:

“….un insieme di attività fornite dal consulente che hanno lo scopo di aiutare il cliente a percepire, capire e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente”. (2)

Analisi Transazionale e counseling

Anche E. Berne, quando negli anni ’50 si accinge a mettere a punto i primi concetti fondanti di quella che sarebbe poi diventata la teoria di Analisi Transazionale, (d’ora in avanti A.T.) si rifà ai tre valori fondamentali della psicologia umanistica: Responsabilità, Libertà e Creatività.

Dal punto di vista filosofico, Berne ha condiviso ed evidenziato i principi di base delle discipline umanistiche, in particolare l’autorealizzazione e la centralità della persona sul proprio percorso di crescita e di cambiamento.

Tra i valori che promuove ci sono infatti quelli di una visione positiva di sé, degli altri e della vita (okness), l’autonomia individuale, il concetto di responsabilità e di cambiamento.

Il primo assunto dell’A.T.: “Ogni persona è OK” riporta al concetto di autostima da una parte e di accettazione delle differenze interpersonali dall’altro, e cui si correlano la centralità e responsabilità della persona.

Il secondo assunto: “Ognuno decide il proprio destino, e le decisioni possono essere cambiate”, esprime l’aspirazione a rendere le persone consapevoli innanzitutto e responsabili delle proprie azioni per potere effettuare le proprie scelte e cambiamenti quindi divenire attori della propria crescita.

Oltre alla terapia, questa teoria è stata utilizzata già dagli inizi nel campo della formazione e dello sviluppo del potenziale umano: infatti essa permette una comprensione dei meccanismi intrapsichici e relazionali e fornisce gli strumenti operativi per rendere funzionali ed efficaci anche i rapporti professionali.

Si è sviluppata come una metodologia nel campo della psicologia applicata, basata sui comportamenti autoosservabili, quindi è utilizzabile come chiave di lettura dei comportamenti.

Peculiarità dell’A.T. è proprio quella di essere uno strumento di analisi e riconoscimento di comportamenti visibili ed accertabili e non uno strumento interpretativo decodificabile solo e sempre con l’intervento dell’esperto.

Il linguaggio semplice e facilmente comprensibile si pone all’interno della filosofia come punto di forza della teoria stessa che, pur sofisticata e complessa nei principi e nella struttura, può essere resa alla portata di tutti e fruibile da chi si ritiene OK e si automotiva al cambiamento.

E’ meglio precisare però che questa semplicità consente sì una comprensione rapida dei problemi psicologici, ma occorre che sia gestita e trasmessa in modo altamente professionale da persone competenti. Purtroppo negli anni passati è stata spesso presentata in modo superficiale ed anche talvolta benalizzata creando l’illusione di una piena conoscenza e di una semplicistica capacità di farne uso.

A mio avviso i suoi presupposti teorici, la filosofia di fondo, la semplicità di linguaggio con cui la teoria può essere trasmessa e la sua struttura facilmente divisibile, e quindi utilizzabile, in parti (non è necessario conoscere tutta la teoria per poterne usufruire) tutto ciò rende il modello dell’A.T., molto funzionale e fruibile per gli interventi di counseling.

Dal suo stesso nome Analisi Transazionale si possono trarre i due elementi principali oggetto del modello e preziosi per il counseling:

  • Analisi: cioè analisi della persona e quindi personalità, stile, piano di vita, motivazioni, copione.
  • Transazionale: aspetti relazionali, le transazioni, i rapporti con gli altri . La transazione – unità di messaggio in andata e ritorno, ripresa poi successivamente da G. Bateson per la teoria del Doppio Legame – costituisce il ponte tra l’intrapsichico e l’interpersonale, tra il dentro ed il fuori degli individui, che comunicano ed interagiscono.
  • L’analisi transazionale si concentra prevalentemente sulle relazioni con gli altri come punto di partenza per arrivare a fare emergere il modo con cui la persona limita le sue possibilità, e quindi mettere a fuoco il Copione ed il piano di vita personale.

Analizzare le transazioni aiuta a comprendere il proprio modo di essere nel mondo e di interagire con gli altri.

Come afferma Miglionico la metodologia analitico transazionale “è il punto di vista di Giano bifronte assiso al confino tra il dentro ed il fuori degli individui che comunicano”. (3)

Il processo di counseling avviene utilizzando, i passaggi tra il dentro ed il fuori: dall’osservazione del comportamento alla analisi e comprensine delle problematiche interne per ritornare al comportamento esterno, questa volta modificato dalla consapevolezza e dall’ampliamento delle opzioni.

Principi base

Procedendo per il cammino che ha lo scopo di riallacciare la metodologia utilizzata nel counseling al modello di intervento A.T. riporto alcuni principi base applicabili al counseling e facenti parte della teoria analitico transazionale.

Mi riferisco alla condivisione delle responsabilità, alla relazione paritaria, allo sviluppo dell’autonomia ed alla valorizzazione della sfera emotiva.

Condivisione di responsabilità

  • Contratto diretto ed esplicito tra counselor e cliente
  • Ruolo attivo del cliente nella gestione del proprio cambiamento ed apprendimento
  • Verifica del consenso su finalità e metodi seguiti
  • Assunzione di impegni attivi

Relazione paritaria

• Patto di cooperazione: rapporto con professionista esperto e qualificato che può garantire riservatezza e competenza

• Sviluppo di una relazione supportiva basata sulla fiducia e sul coinvolgimento reciproco

 

 

Sviluppo dell’autonomia

• Comprensione del proprio modo di pensare e dei propri comportamenti

• Selezione e scelta di priorità rispetto ai punti di forza e delle aree da migliorare

• Recupero dell’autonomia come base per la decisionalità

• Rispetto, senza interferenza valutativa da parte counselor

 

 

Valorizzazione sfera emotiva

• Accettazione ed esplorazione delle aree emotive

• Accoglimento del vissuto e delle risorse emotive del cliente

• Sviluppo della capacità di accettare/integrare i limiti

• Rielaborazione delle conoscenze implicite

• Messa in gioco del counselor come persona intera, con le sue emozioni e sentimenti e la possibilità di partecipare e condividere il processo in corso.

Contratto psicologico

Uno dei principi fondamentali dell’A.T. è quello che mette in evidenza l’importanza del contratto psicologico inteso come l’accordo, chiaro ed esplicito sugli obiettivi e sulle modalità operative, e l’assunzione di responsabilità personali dei due attori, psicoterapeuta o couselor e paziente o cliente, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi.

Il contratto rappresenta l’impegno preso con se stessi e con qualcun altro al di fuori di sè e significa condividere esplicitamente la responsabilità dell’impegno assunto.

Per arrivare al contratto occorre un confronto sulle aspettative proprie ed eventualmente esterne, sulle risorse possedute e su quelle da acquisire, che permetterà di fare emergere le spinte contrastanti al successo e le resistenze o i blocchi che ne rendono spesso inefficaci gli sforzi.

Stabilire un buon contratto significa attivarsi per mettere a fuoco l’obiettivo reale e concentrarsi su di esso.

Si sta parlando fino a questo punto del CONTENUTO del contratto.

Ma esiste un altro aspetto assai rilevante rappresentato dal contratto come PROCESSO che ha a che fare con la relazione che si instaura tra counselor e cliente.

E’ già a partire dal primo incontro si inizia a costruire una relazione basata su dinamiche emotive, ad in particolare sulla fiducia.

Molto spesso nella pratica dell’attività di counselor ho potuto rilevare che, a livello intuitivo, la persona che esprime una richiesta di counseling chiede di poter effettuare con il suo potenziale counselor un breve incontro prima di decidere di iniziare.

Apparentemente è un incontro basato su contenuti, vengono poste domande molto pratiche: modalità degli incontri, tempi, tecniche etc. in realtà avviene quella che potremmo definire una “verifica empatica”.

Il cliente verifica il suo sentirsi a proprio agio, tasta il livello di sintonia su canali analogici ed emotivi con il counselor, percepisce la possibilità di essere compreso, aiutato e guidato senza essere giudicato ma anzi sentendo il rispetto assoluto per le sue difficoltà ed incapacità.

Così, se si è stabilito un buon feeling, sé c’è stato un contatto vero, genuino e forte si può strutturare l’ALLEANZA tra counselor e cliente e questo costituisce l’elemento essenziale per potere, subito dopo, definire il contratto nelle sue parti di contenuto e creare la tensione energetica creativa che orienterà le azioni.

 

 

 

Rapporto Cliente-Counselor

Come principi generali riguardanti il rapporto cliente-counselor ci si può rifare al Codice di Etica e Deontologia Professionale per i Counselor adottato dalla SICo – Società Italiana di Counseling (4) – che costituisce un punto di riferimento sicuro per l’autoregolamentazione di chi esercita la professione di counselor e chi desidera avvalersi di tale contributo professionale.

Tra gli elementi fondanti dei valori si trovano la riservatezza cioè il segreto professionale, la trasparenza di comportamento ed il rispetto.

Si è detto che aspetto fondante del buon esito di una attività di counseling è il rapporto che si instaura tra il cliente ed il counselor.

Per assecondare il processo di sviluppo il counselor deve innanzitutto crederci, deve possedere lui stesso una visione positiva della vita, secondo i dettami espressi da C. R. Rogers e dell’A.T, e della possibilità di cambiare e di apprendere dalla esperienza.

E’ importante che possegga oltre alle indispensabili competenze tecniche ed al linguaggio delle organizzazioni anche una ampia sensibilità alla relazione per sapere accogliere e valorizzare il patrimonio emotivo del cliente.

L’empatia e la disponibilità all’ascolto sono qualità indispensabili per creare una salda alleanza che consente il lavoro.

Ma, ai fini di sintetizzare ciò che un counselor deve saper trasmettere, ci si può rifare alle “tre P” dell’Analisi Transazionale: Permesso, Protezione, Potenza.

 

1. PERMESSO: Il counselor deve saper trasmettere al cliente il permesso di cambiare, di superare blocchi, di modificare il proprio copione, oppure di essere come è, sperimentando forme diverse pensiero e di azione aprendosi ad opzioni di comportamento inusuali.

 

2. PROTEZIONE: occorre che sappia creare un clima di fiducia e di alleanza, di rispetto e di riservatezza che consente di sperimentarsi in ambiente protetto e non valutativo, di provare a mettere in pratica ciò di cui si è parlato, accettando anche l’insuccesso che è insito nell’esperienza e premessa per il successo.

 

3. POTENZA: deve saper esprimere una comunicazione potente riguardo alla propria visione circa le possibilità di crescita, alla sicurezza delle proprie competenze che potranno accompagnare nel cammino fornendo supporto sicuro di tipo cognitivo/concettuale ed emotivo

 

Secondo la teoria analitico-transazionale i genitori inviano a livello inconsapevole potenti messaggi ai figli, dettati dalle loro paure, dall’eccessivo senso di protezione e dalle ansie che loro stessi non riescono a contenere circa il futuro.

Tali messaggi, espressi prevalentemente a livello non verbale, vengono recepiti dai figli, fatti propri ed utilizzati per la costruzione del proprio copione di vita.

E. Berne prese il termine Copione dal linguaggio teatrale per esprimere l’idea di una parte che viene recitata ed alla quale occorre adattarsi.

Lo definì: “Un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi che culmina in una scelta definitiva.

La decisione rappresenta un compromesso tra i propri bisogni e la propria vulnerabilità alle pressioni esterne”. (5)

Molto spesso si tratta di una decisione limitante che non permette un pieno espandersi delle potenzialità, ma resta invece circoscritta negli ambiti noti che erano stati influenzati dal rapporto con i genitori.

Ecco allora l’importanza, fondamentale per il cambiamento, del rapporto con un counselor che sappia esprimere il permesso di cambiare le vecchie decisioni di adattamento, la protezione cioè la certezza di poterlo fare, di potere ridecidere e sperimentare alternative di comportamento e la potenza cioè la sua salda presenza di persona sicura e competente.

 

 

 

Non è insegnamento. Non è psicoterapia

“Non puoi insegnare qualcosa ad un uomo, puoi solo aiutarlo a scoprire dentro di sé”.

G. Galilei

 

Dopo quanto detto finora appare evidente che per questo tipo di intervento si parte dal presupposto che la persona abbia già in sé le risorse necessarie per il proprio cambiamento e che il processo di counseling è ciò che crea le condizioni affinché ciò possa accadere.

Il focus su cui il counselor si concentra non è il sintomo, né il problema, né la capacità specifica da acquisire, se ci si trova in ambito aziendale, ma la persona stessa nella sua interezza che potrà guarire, risolvere il problema o diventare competente se riuscirà a “….. raggiungere un grado di autocomprensione tale da consentirgli di adottare comportamenti positivi alla luce del suo nuovo orientamento” così come ci specifica C. R. Rogers.

E’ importante però sottolineare a questo punto che non si tratta di una psicoterapia e che, anzi, un buon counselor sa molto bene mantenere netto il confine tra i due ambiti.

Nel 1995 l’EATA, (European Association for Transactional Analysis) ha elaborato la definizione del counseling in A.T. che aiuta a comprendere il limite e la differenza con la psicoterapia:

“Il Counseling analitico-transazionale è un’attività professionale all’interno di una relazione contrattuale.

Il processo di Counseling permette al cliente o al sistema cliente di sviluppare consapevolezza, opzioni e capacità nella gestione dei problemi e nello sviluppo personale nella vita di tutti i giorni, attraverso l’accrescimento dei punti di forza e delle risorse.

L’obiettivo è quello di sviluppare l’autonomia in relazione al proprio ambiente sociale, professionale e culturale”.

E’ vero naturalmente che ci sono tratti comuni e che il confine tra psicoterapia e counseling non è sempre facile da delineare, entrambi hanno come obiettivo il cambiamento e lo promuovono sviluppando consapevolezza del soggetto senza indirizzarlo o consigliarlo.

Ma l’elemento qualificante che li differenzia riguarda il livello di intervento: la psicoterapia si occupa dell’individuo nella sua disfunzione psicologica e rivolge il proprio intervento a livello intrapsichico, mentre il counseling interviene a livello relazionale ed interpersonale.

Ecco allora emergere la specificità e la funzionalità dell’A.T. che si occupa di analizzare le transazioni che avvengono tra individui ed i comportamenti messi in atto dal soggetto. Il counselor accede al mondo intrapsichico del cliente facendo emergere ricordi, sensazioni ed emozioni ma non li elabora, non fa interpretazioni, si limita ad accogliere ciò che emerge, valorizzandolo, rendendolo utile, riportandolo al qui ed ora ed utilizzandolo per la comprensione di ciò che accade e per l’elaborazione del cambiamento che si desidera ottenere.

 

Una volta stabilito il contratto, creata l’alleanza, ed improntata la relazione fiduciaria si inizia a lavorare insieme. Il focus è sulla consapevolezza e per costruirla la tecnica migliore è procedere al “racconto di sé”. Per la durata del primo incontro come minimo, chiedo al cliente di raccontare la propria storia personale e professionale, togliendo elementi valutativi critici ma raccogliendo ciò che egli pensa, ricorda e sente.

L’attenzione (nel senso etmologico ad – tendere, tendere verso) si distoglie da tutto ciò che è esterno e che riguarda le azioni, i pensieri e le valutazioni degli altri di chi fa parte del contesto, e viene riportata all’interno del soggetto. La persona si può concentrare su di sé, rivedere la propria storia, i percorsi, i momenti cruciali e le scelte effettuate, mettere in luce gli errori, i successi e le strategie utilizzate per affrontare e risolvere i problemi.

Il counselor ha in questa situazione un ruolo attivo sia nell’ascolto empatico e non valutativo sia nel condurre l’interessato ad evidenziare gli elementi di copione che incidono nella sua storia. Si mettono così in relazione le analogie tra storie personali e professionali, si individuano le decisioni prese sotto condizionamento dei messaggi genitoriali e delle figure dotate d’autorità.

La distorsione percettiva della realtà e la interpretazione data ai messaggi ricevuti costituiscono le basi per la strutturazione del proprio copione all’interno del quale ci si muove in modo inconsapevole ed autolimitante.

Il lavoro congiunto counselor-cliente porta questo ultimo ad avere lucida consapevolezza di come il proprio copione incide sulla propria storia professionale (oltrechè su quella personale naturalmente) e di quale sia la propria posizione esistenziali cioè degli atteggiamenti assunti circa il valore percepito di sé e degli altri.

 

Alla fine di questo percorso, si situa, a mio parere, in modo netto la differenza di strade tra la psicoterapia ed l’intervento di counseling.

Là dove la psicoterapia si pone l’obiettivo di curare, sanare le ferite antiche, rielaborando i vissuti arcaici, il counseling riporta tutto ciò che ha fatto parte del racconto e della ri-evocazione, al presente con la domanda chiave:

“come tutto ciò interferisce con i comportamenti, le scelte , le difficoltà attuali?”,

e “cosa posso fare ora di diverso?”.

La maggiore consapevolezza di sé del modo di agire e di relazionarsi, costituisce la base per iniziare ad individuare le alternative di comportamento o meglio le opzioni aldifuori del copione che si possono ora iniziare ad ipotizzare.

La metodologia analitico transazionale possiede una ricca gamma di – strumenti di supporto (*) utilizzabili a seconda della persona e dei problemi da affrontare, ricordando che si sta facendo riferimento ad un intervento individualizzato in cui tutto và scelto e calibrato proprio come in “abito su misura”.

Si è effettuata fino a questo punto la diagnosi sociale e comportamentale e si sono messi in evidenza gli schemi ripetitivi di comportamento che creano le situazioni problematiche, si è pronti per una fase successiva che conduce al cambiamento.

 

 

 

La decontaminazione

E. Berne indica con questo termine una fase strategica fondamentale della terapia e M. Novellino attribuisce la stessa centralità nell’intervento di counseling “La decontaminazione è la fase centrale del lavoro di counseling…. Il conflitto (interiore) impedisce all’Adulto un funzionamento consapevole ed efficace. Con la decontaminazione si mira alla consapevolezza da parte del cliente che il materiale ritenuto Adulto è in realtà appartenente al Genitore e al Bambino.

Tale fase ha l’obiettivo strategico di ridare potere all’Adulto”… (6)

Possiamo definire la decontaminazione come un processo cognitivo ed emotivo mediante il quale una persona diventa capace di riconoscere gli elementi “contaminati” della propria personalità, cioè non congruenti con la situazione, i vissuti ed i comportamenti attuali.

Le tecniche di decontaminazione si rifanno alle operazioni berniane:

 

INTERROGAZIONE:

Brevi e chiare domande che hanno lo scopo di rendere esplicito un contenuto o di focalizzarlo per avere le informazioni necessarie a chiarire punti cruciali.

E’ il primo stimolo a pensare separando le informazioni dai vissuti emotivi e dalle opinioni.

 

SPECIFICAZIONE:

Si tratta di una affermazione del counselor che dà significato e valore alle informazioni ottenute, senza effettuare aggiunte, anticipazioni o interpretazioni.

Serve a puntualizzare/focalizzare un aspetto che si riprenderà più avanti.

 

CONFRONTAZIONE:

Evidenzia contraddizione emersa tramite l’interrogazione del racconto del cliente; può riguardare l’incongruenza tra vissuti emotivi e fatti narrati o tra il comportamento tenuto in situazioni diverse.

Può produrre una reazione di sconcerto ma innesca una ristrutturazione emotiva/cognitiva.

 

SPIEGAZIONE:

In questo ambito vengono forniti input teorici, strettamente connessi ai contenuti emersi, e collegati ai comportamenti descritti dal cliente.

Ci si focalizza sul “come” avviene un fenomeno e sul modo utilizzato attivamente per farlo avvenire.

 

 

ILLUSTRAZIONE:

E’ l’uso della metafora, degli aneddoti e delle similitudini che servono a rafforzare il confronto accettato dal cliente ed ad ancorare consapevolezze appena acquisite.

 

CONFERMA:

Serve a convalidare con nuove informazioni appena ricevute quanto era emerso in precedenza.

 

 

 

Il cambiamento

Tutti gli strumenti e le tecniche di cui il counselor è in possesso possono a questo punto essere utilizzate facendole “poggiare” sulla struttura metodologica fin qui descritta e sulla stretta alleanza con il cliente.

Il counselor deve fare ricorso alla sua competenza diagnostica riguardo la struttura di personalità del cliente, oltrechè al suo intuito e dalla sua sensibilità personale.

La scelta va fatta valorizzando quale tra i livelli – cognitivo – emotivo – comportamentale, quello che meglio risponde alle esigenze di chi si ha di fronte ed alle sue possibilità di trarne giovamento.

Si potrà ricorrere alle visualizzazioni guidate ed alle esercitazioni analogiche, alla visione di filmati ed alla discussione di casi aziendali, agli autocasi ed ai questionari strettamente connessi alle competenze da acquisire. Come si può vedere dalla scheda 1.