La recensione di Berne Counseling

Come non fare la recensione del nuovo film di Paolo Sorrentino “Youth”?
Eppure quando sono uscito dalla sala non avevo parole, non avevo proprio voglia di scrivere di questo film, e in fondo faccio fatica anche adesso.
Il motivo per me è chiarissimo: non saprei da dove cominciare.
Posso però dire che sono uscito con nessuna voglia di tornare alla vita vera, tanto emozionante e intenso è stato il tempo del film. Di sicuro correrò a comprare la sceneggiatura se c’è, perché troppe frasi mi sono sembrate memorabili, e io, come si può capire, ne ricordo ormai solo il sapore, il gusto, le emozioni.
Troppi momenti mi sono sembrati stupefacenti e sorprendenti, troppe storie intrecciate interessanti e significative.
Insomma quando andate a vederlo preparatevi a immergervi in un mondo nuovo: nella vecchiaia, protetta, arginata e coccolata di un hotel da sogno nelle Alpi svizzere. Una vecchiaia che oscilla fra rimpianto e leggerezza, fra sogno e crudele realtà, fra rassegnazione e giovinezza.
Si può vivere come da giovani anche in età avanzata? Si possono riattivare ancora i desideri? Sorrentino ci risveglia alla vita, ci rimette il fuoco delle emozioni dentro al cuore.
Soprattutto a chi non ha più vent’anni.
Ci racconta di pregiudizi, di freddezza, di cinismo, di morte, eppure non ricordo al cinema uno sguardo così capace di descrivere tutto questo senza risparmiarcene la crudeltà e allo stesso tempo senza perdere la certezza che vale la pena buttarvici a capofitto.
Incontrandosi in quel luogo sospeso le persone si fecondano, si stimolano, si accarezzano e si insultano, perfino i muti più gelidi e distanti riprendono non tanto la parola quanto l’amore, ed è anche questo un amore gridato in un abbraccio liberatorio e sessuale, contro un albero, nel bosco.ss
E poi il film, come fosse un puzzle dove i pezzi parevano provenire da scatole diverse, improvvisamente si raggruma, i tanti tasselli pur meravigliosi e scompaginati com’erano sembrati, esprimono tutto il loro significato e si collegano fra loro.
E il personaggio principale risorge, e noi con lui.
Il finale mi ha lasciato senza fiato, non avrei voluto che finisse più: la musica e le parole cantate spiegano ancora di più il senso “alto” del talento che finalmente, non più trattenuto dalla mestizia e dal controllo, può essere liberato per andare a cercare il suo significato oltre il tempo presente, al di là della nostra stessa esistenza e delle persone che lo avevano stimolato. Non fermarsi all’orrore ma ricontattare il desiderio porta proprio a questo, a non lasciarsi fregare dalla malattia, dalla morte, dai fallimenti, perfino dalle proprie miserie e dai propri egoismi, accettare la vita così com’è ci porta a gioire di quello che siamo e di quello che, poco o tantissimo, da essa abbiamo avuto.
La Palma d’oro, che a Cannes non ha ricevuto, ci dimostra proprio tutto questo, la bellezza vive (e forse nonostante) anche in mezzo agli uomini che non la sanno vedere.
Dimenticavo: il film è divertente, rutilante, poetico, buffo, commovente, corroborante.
Vi basta?


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